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Lettere dal Sahara

Lettere dal Sahara di Vittorio De Seta
Scheda del film a cura del Festival del Cinema di Venezia
Interpreti: Djibril Kebe, Paola Ajmone Rondo
Durata: h 2.03

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[acidfree:306] L’Associazione nazionale antirazzista e interetnica ‘3 febbraio’ promuove il film di Vittorio De Seta accolto con entusiasmo al Festival del Cinema di Venezia e in proiezione dal 1 settembre in tutte le sale italiane.
L’invito speciale è rivolto a tutti i fratelli e sorelle che conosciamo, a tutte le persone schierate contro il razzismo e per una società aperta, libera e solidale che potranno vedere il film a prezzo ridotto.
Per informazioni chiama l’A3F della tua città.

Vuoi vedere alcune immagini del film?

http://www.mymovies.it/cinemanews/2006/1353/

Cosa ha detto la stampa

Autore: Roberto Nepoti - Testata: la Repubblica
(...) Citando Majakovskij, De Seta dichiara di credere in una "funzione" sociale del cinema e della televisione. E lo dimostra. Al punto che il suo film appare a tratti - nobilmente - didascalico, sposando il realismo delle immagini con la passione della declamazione civile. È un limite? Non lo diremmo. (...) il film instaura un inedito tipo di "manicheismo gentile", a fin di bene e di conoscenza: deciso, sostanzialmente, a farci aprire gli occhi su ciò che non conosciamo - e ci ostiniamo a non voler conoscere - degli immigrati che vivono accanto a noi. Intento (...)

Autore: Maurizio Porro - Testata: Il corriere della sera
(...) Un film utile e civile, che andrebbe 'insegnato' nelle scuole (...)

Autore: Lietta Tornabuoni - Testata: La Stampa
(...) Più forte del rovesciamento del film (l'emigrante non trova quanto cercava e quanto forse riuscirà a trovare nel suo Paese) è la maestria di De Seta nel fondere personaggi e ambiente, nel dare energia e poesia a quella che non è una storia di fallimento ma di vittoria.

Autore: Pedro Armocida - Testata: il Giornale
(...) Lettere dal Sahara senza ricorrere alla facile drammatizzazione degli eventi, evidenzia bene il problema dell'immigrazione e getta uno sguardo abbastanza oggettivo (ma gli immigrati sono sempre buoni mentre tra gli italiani s'annidano i cattivi) sulla difficile integrazione di culture diverse. (...)

Autore: Dario Zonta - Testata: l'Unità
(...) Il film, sulla condizione degli immigrati in Italia, seppur discontinuo è importante ed è anche una parabola ragionata sulla comprensione culturale come chiave di convivenza.

Autore: Roberto Silvestri - Testata: Il Manifesto
(...) Girato in digitale tra il 2002 e il 2003, dopo 20 anni di silenzio (non voluto, anzi obbligato dall'imbarbarimento grave, nel nostro paese, della politica dell'immaginario) questa sorta di Paisà nero dal titolo Lettere dal Sahara, atteso ritorno alla regia di De Seta (a cui il Moma di New York ha appena reso omaggio), conferma le qualità di questo documentarista del reale, dall'occhio acuminato e dal cuore apolide.

Autore: Corrado Stajano - Fonte: www.unita.it (8.09.06)
Sono stampate ormai nei nostri occhi quelle barche di migranti vivi e morti che cercano di raggiungere la terra promessa chiamata Italia. Esiste il rischio della ripetitività, con la conseguenza di non far più caso a quelle immagini di pena, di dolore e, insieme, di speranza. Sono diventati quasi una non notizia i cadaveri galleggianti tra Lampedusa e Capo Passero, l´insanità dei centri di accoglienza, la violenza dei poteri criminali che governano gran parte di quel mercato proprio come una merce, l´odissea di centinaia di migliaia, e più, di uomini soggetti a una legge, la Bossi-Fini, che va tolta di mezzo in fretta per la sua inutilità vendicativa e incivile (…)
(…) Il film di Vittorio De Seta, Lettere dal Sahara, proiettato a Venezia e ora in tutte le sale, è un grande contributo alla conoscenza del problema. È una voce di verità, fa capire come sono importanti gli immigrati in un paese come il nostro che ha bisogno di quelle braccia e anche di quei cervelli. I migranti che vendono collanine agli angoli delle strade sono spesso laureati e conoscono due o tre lingue. Certo, non sono tutti santi, ma neppure demoni, quello dell´immigrazione non è soltanto un problema di ordine pubblico.
Il film di De Seta ha la forza di un apologo. È una storia vissuta nel profondo, inchiesta, saggio, narrazione: dimostra come la realtà sia creatrice e come sia fruttifera la mescolanza dei generi. La conoscenza è essenziale. Quando girò il suo film più famoso, Banditi a Orgosolo (1961), De Seta passò nove mesi in Barbagia per capire com´era quella difficile società. Si comportò nello stesso modo quando girò il Diario di un maestro (1973) e restò a lungo nella borgata di Pietralata, in quello sfacelo morale e materiale, con quei ragazzini violenti e aspri di fuori, morbidi e teneri di dentro.
Lettere dal Sahara è un film civile, un contributo alla convivenza tra i popoli, un segno della tolleranza possibile. La realtà, anche a proposito dell´immigrazione, è più brutta e cruda di come viene raccontata. La commissione parlamentare Antimafia, al termine della penultima legislatura (2001), pubblicò la relazione di un Comitato di lavoro sulla criminalità diretto dalla senatrice Tana de Zulueta: un documento impressionante che spiegava la gravità del traffico degli esseri umani, un grande affare che coinvolge non soltanto le organizzazioni criminali, ma estende la sua forza di corruzione anche su certi ambiti della politica e della burocrazia.
De Seta, profondamente onesto, racconta quel che sa, quel che conosce, quel che vede. Il suo film è anche una lezione intellettuale sui doveri della cultura e ci fa capire com´è modesta la rappresentazione della realtà fatta dai registi e dagli scrittori italiani, com´è misera la tv con i suoi «approfondimenti» che il più delle volte sembrano compiti in classe di quindicenni poco dotati. E com´è grave il rifiuto della vita così com´è.
De Seta è un grande regista rimasto fedele a se stesso, da quando, negli anni Cinquanta girava i suoi favolosi documentari, Lu tempu de li pisci spata, Isole di fuoco, Contadini del mare, fino a oggi. Da tempo si era ritirato. Per anni studiò San Paolo per un film televisivo. Era la metà degli anni Settanta. Studiò allora centinaia di opere sui primi cristiani, sulla Bibbia, sul Vangelo. Mai contento, mai appagato, convinto da sempre che per capire e far capire bisogna studiare, operazione non tanto di moda oggi. Disse in un´intervista al Giorno nel 1974: «Occorre conoscere a fondo le cose, inquadrarle, fare uno sforzo di semplicità. Non è soltanto una questione di metodo, ma di rispetto. Non si può barare, servirsi di San Paolo, di Gramsci, di Rosa Luxemburg indifferentemente. Anche per fare un film è necessario calarsi dentro gli uomini, condividere con umiltà le loro scelte, offrirgli tutte le possibili carte. Gesù Cristo sapeva talmente bene tutto da poter dire cose pedestri, da poter esprimersi per parabole. Le sue parole appaiono come il succo della cultura profonda che è la conoscenza delle pieghe più segrete della vita».
Anche in questo suo nuovo film, Vittorio De Seta si è «calato dentro gli uomini». Lettere dal Sahara racconta la vicenda di Assane (Djibril Kebe), una storia vera, comune a tanti, che il regista vive, anzi fa rivivere con religiosità autentica. Studente di Filosofia, colto, il giovane che viene dal Senegal fa la sua traversata del deserto e naufraga a Lampedusa. Sfugge ai controlli, riesce a scappare mentre in piazza suona la banda. Si collega con alcuni connazionali, finisce nella campagna napoletana dove lavora a scaricare cassette di verdura; vive in antri indecenti, sente presto il peso della criminalità, se ne libera, decide di andare a Firenze dove una cugina modella gli offre ospitalità in una comoda casa. Ma la ragazza, non sposata, convive con un uomo. Assane non accetta la situazione. La morale, il costume, la religione lo vietano. Può sembrare eccessivo: il film pone di continuo problemi umani, civili, religiosi. Il conflitto tra le patrie è costante.
Assane va a Torino all´avventura. Il contrasto tra una fonderia dove trova lavoro e la bella Firenze è aspro. Una famiglia lo accoglie con generosità. Si ambienta. Dura poco. Viene aggredito da una banda di teppisti che si accaniscono sul nero. È un pestaggio violento, viene quasi ammazzato. Si salva.
Decide di tornare nel Senegal dai colori splendidi e dalla povertà nascosta. Incontra la madre, incontra il vecchio professore dell´Università di Dakar il quale gli fa raccontare la sua avventura a una comunità di bambini e di adulti. Assane è desolato, ha perso la fiducia negli uomini, ha smarrito la sua identità. Narra la sua storia, da quando gente senza cuore lo gettò in mare, narra tutte le umiliazioni subite, non tralascia quasi nulla. «Perché?», «Perché?», seguita a chiedersi. È triste. «Dov´è finito Dio?», «Dove sono le mie radici?» si domanda. Bisogna che i suoi compaesani sappiano, dice il professore, affinché quanti partiranno conoscano cos´è quel mondo che ha sempre sfruttato, umiliato, impoverito gli africani, quel mondo dove i soldi hanno sostituito Dio. Ma si può vivere in quel povero Senegal un po´ mitizzato? Rimarrà al paese Assane che ha perso le radici, con il suo io diviso, o ritenterà l´avventura in quel mondo lucente e crudele di là dal mare?

Il Premio Città di Roma - Arcobaleno Latino della 63. Mostra del Cinema di Venezia, giunto alla sua nona edizione, è stato attribuito al film Lettere dal Sahara di Vittorio De Seta.
Il premio, ideato da Gillo Pontecorvo, è un riconoscimento che si colloca sotto diverse bandiere – 37 paesi di ogni parte del mondo – per valorizzare un cinema che privilegi la dimensione culturale, l’intelligenza del pubblico, l’intrattenimento qualitativo, le personalità degli autori, la diversità degli stili e dei linguaggi della cultura latina.